Imprese oltre la crisi. I percorsi strategici delle imprese milanesi: sessanta casi a confronto

Rapporto di ricerca e casi aziendali.

Obiettivi e contenuti della ricerca

La ricerca ha per oggetto le mosse strategiche passate e future delle imprese associate ad Assolombarda. Trae origine dal più vasto progetto di ricerca “Le imprese italiane oltre la crisi: strategie di sviluppo e cambiamento nella competizione globale” attivato da Confindustria nella primavera 2010 ed è la naturale prosecuzione del progetto “Mosse strategiche” svolto da Assolombarda nel 2007-2008 nell’ambito dell’Osservatorio Assolombarda Bocconi sulla competitività delle imprese italiane.
Sono state analizzate 60 aziende associate ad Assolombarda selezionate tra quelle che nel recente passato hanno fatto registrare buone performance e che per varietà del settore, della dimensione e della proprietà rappresentano il composito mondo di Assolombarda. Le aziende si sono rese disponibili ad una ricerca condotta mediante questionari, focus group e altre informazioni tratte dai siti aziendali e dalle banche dati pubbliche.

Le performance nel periodo 2004-2009: l’impatto della crisi

Nel periodo 2004-2008 le 60 aziende analizzate hanno fatto registrare, mediamente, una notevole crescita del fatturato (+41% nei cinque anni) con una caduta, nel 2009, notevole (-11%) ma contenuta rispetto a quanto accaduto nella generalità delle imprese italiane. Analoghe considerazioni valgono per la redditività, sempre piuttosto alta sino al 2008 (ROA tra l’8% e il 10%, ROS tra il 7% e il 9%, ROE tra 9% e il 15%) e ancora positiva nel 2009 (ROA al 5,4%, ROS al 5,3%, ROE al 3,8%). Molto significativo il fatto che dal 2006 al 2009 il tasso di indebitamento (totale attivo / patrimonio netto) si sia notevolmente ridotto (da 5,5 a 3,9) e ciò in buona misura è dovuto ad operazioni di “patrimonializzazione”.

Complessivamente, le imprese del campione hanno dimostrato di saper fronteggiare positivamente una crisi improvvisa e profonda come quella scoppiata nell’autunno del 2008. Ciò è emerso chiaramente anche durante i focus group: la gran parte dei capi azienda sembrava aver assorbito i forti cali di fatturato come un incidente di percorso che forniva nuovo impulso alla loro azione volta a garantire la competitività nel lungo periodo e a rilanciare la crescita. In particolare, molti partecipanti alla ricerca hanno ribadito che anche in questa circostanza particolarmente negativa valeva sempre il principio secondo il quale “nei periodi di crisi si deve investire”. Anche effettuando un confronto tra le mosse strategiche passate (relative al decennio appena trascorso) e quelle previste per il futuro si rileva una sostanziale continuità nelle mosse e nei percorsi strategici seguiti.

Le strategie competitive

La strategia competitiva concerne le singole aree strategiche d’affari (A.S.A.) in cui si articola la strategia complessiva e si riferisce alle decisioni rivolte a conquistare un vantaggio competitivo rispetto alle imprese operanti nello stesso mercato; un vantaggio competitivo che sia durevole e difendibile.

Nella letteratura standard si distinguono quattro strategie competitive di base denominate rispettivamente:

  • strategia di leadership di costo;
  • strategia di differenziazione;
  • strategia di focalizzazione basata sul costo;
  • strategia di nicchia.


Le quattro strategie nascono, sul piano logico, dall’incrocio di due scelte aziendali:

  • la scelta di quale leva competitiva azionare: il costo (prodotti di alta qualità realizzati con costi bassi e venduti a prezzi competitivi), oppure la differenziazione (prodotti con caratteristiche speciali differenti rispetto a quelle dei concorrenti e apprezzate dal cliente che è disposto a pagare un differenziale di prezzo);
  • la scelta dell’ampiezza del mercato al quale puntare: tutto il mondo e tutti, o quasi tutti, i segmenti del mercato con un’ampia gamma di prodotti, oppure segmenti speciali del mercato (certi tipi di clienti, certe aree geografiche, certe applicazioni, ecc.)


Dall’insieme delle informazioni raccolte si può dunque ricostruire il quadro seguente:

  • molte delle 60 aziende si collocano in modo abbastanza chiaro in uno dei quattro quadranti; ciò significa che i capi azienda hanno fatto scelte chiare e forti, internamente coerenti;
  • in parecchi casi, tuttavia, si ha la sensazione di strategie ibride; in materia vale quanto detto sopra; può trattarsi di particolari casi di equilibrio e di coerenza, ma è alta la probabilità che si tratti di situazioni di incertezza o di riorientamento strategico dalle quali è opportuno uscire rapidament
  • in alcuni casi le imprese sono grandi e articolate in linee di business caratterizzate da differenti strategie competitive.

Il confronto con i concorrenti

Le nostre aziende si sentono forti nei confronti dei loro concorrenti; molto forti nelle aree tecniche e ben posizionate sul fronte commerciale.

Le aziende milanesi si valutano nettamente superiori ai concorrenti relativamente a:

  • il prodotto: la qualità, il contenuto tecnologico, la gamma e la varietà;
  • l’immagine, la reputazione e il marchio;
  • la flessibilità produttiva e la qualità del capitale umano;


Al contrario, si valutano nettamente inferiori in termini di:

  • prezzi e costi: prezzo, vantaggio di costo legato alla dimensione.


In merito alle azioni necessarie per acquisire nuove competenze, le aziende milanesi pensano di dover agire su vari fronti contemporaneamente: assumere persone, attivare collaborazioni con altre imprese, stipulare accordi con università e centri di ricerca, acquisire imprese che posseggono il know-how desiderato. E tali leve vanno attivate sia in Italia sia all’estero. Inoltre, grande peso è attribuito alle mosse “per linee esterne”, ossia alle alleanze e alle acquisizioni.

Il dilemma delle dimensioni e i competitor

La gran parte delle nostre 60 aziende è di dimensioni piccole o medie; 11 aziende fatturano meno di 10 milioni e 27 fatturano tra 10 e 100 milioni di euro. Tuttavia, da un certo punto di vista, sono imprese grandi; quando si chiede loro di stimare la quota di mercato controllata emergono percentuali medie dell’ordine del 30% in Italia e del 20% a livello mondiale. Si tratta di grandissime quote di mercato (ossia grandissime dimensioni relative) in piccole o piccolissime nicchie specialistiche. I concorrenti, però, spesso sono imprese multibusiness che complessivamente possono essere grandi il doppio, se non 5 o 10 volte di più.
Sempre in merito ai concorrenti, i tre principali competitor di ciascuna azienda risiedono in larga misura nelle aree ad “economia avanzata”: molti sono in Italia, in USA e in Germania, alcuni in Francia, Svizzera, UK e Giappone, pochissimi in Cina, India o Corea.

La collocazione nella filiera

In merito alla collocazione nella filiera, i dati raccolti sulle nostre 60 aziende ci dicono che:

  • alcune aziende occupano ampi spazi (sia verticali sia orizzontali) nelle relative filiere; queste imprese progettano, realizzano e commercializzano prodotti complessi svolgendo un chiaro ruolo di integratore tecnologico;
  • altre aziende occupano spazi molto ristretti nell’ambito di una certa filiera; qui però parecchie delle nostre 60 aziende hanno sbocco in una pluralità di settori;
  • in non pochi casi si registra un preoccupante fenomeno di “compressione” delle aziende che vedono crescere la forza contrattuale sia degli attori “a monte” sia degli attori “a valle”; in parte ciò è conseguenza dell’apertura e dell’ampliamento dei mercati.


Un punto critico emerso più volte nel corso della ricerca riguarda il trade-off tra indipendenza e integrazione. In parecchi casi è del tutto evidente che sarebbe opportuna l’aggregazione tra imprese che offrono prodotti complementari; aggregandosi, tali imprese potrebbero: (a) svolgere in proprio una parte della funzione di integratore tecnologico oggi svolta dal cliente “main contractor”; (b) realizzare economie di scala almeno sul fronte commerciale. L’evidente convenienza dell’integrazione si scontra con l’altrettanto evidente tendenza delle singole imprese all’autonomia ed anche con la scarsità di incentivi esterni alla cooperazione interaziendale.

In merito alla dinamica del potere relativo all’interno della filiera, pare emergere una riduzione di potere dei soggetti “a monte” (le imprese fornitrici di materie prime) mentre, “a valle”, la distribuzione acquista potere in alcuni casi e ne perde in altri.

In merito ai fattori che modificano il potere all’interno della filiera, le nostre imprese ripongono grande fiducia nella forza delle competenze che posseggono e, contemporaneamente, segnalano come estremamente critico il fatto di controllare la distribuzione e i clienti.

Con riguardo alla frammentazione o concentrazione nella filiera, la maggioranza delle imprese intervistate indicano una tendenza in corso verso la concentrazione.

La proprietà e le mosse strategiche

Nel corso dell’ultimo decennio le trasformazioni di assetto proprietario delle imprese analizzate sono state poco numerose, ma se si concentra l’attenzione sull’insieme delle imprese di dimensioni relativamente grandi e con chiari progetti di crescita e se si estende di qualche anno il periodo di osservazione, emerge un quadro piuttosto dinamico. Si registrano: quattro quotazioni, quattro passaggi di proprietà, un ingresso di socio di minoranza (persona fisica) rilevante, un ingresso di fondo di private equity come socio di maggioranza.

E’ comunque evidente che, tolti i casi di quotazione o di ingresso di fondi di private equity, i proprietari tendono a detenere il 100% della proprietà evitando la presenza di soci di minoranza terzi; questa posizione aiuta a spiegare come mai sono rarissimi, se non assenti, i casi di “fusioni”. La sola modalità relativamente frequente di combinazione di più soci si ha con la formazione di joint venture; in questo modo si mantiene il controllo del 100% sulla propria azienda e si hanno soci terzi solo in una distinta entità legale rappresentata dalla joint venture. La storia delle imprese analizzate in questa ricerca ha mostrato non pochi casi di joint venture che successivamente vengono acquisite al 100% dalle nostre imprese italiane.

Interessante comunque notare che delle 210 mosse strategiche che le 60 imprese hanno attuato complessivamente nel periodo 2000-2010, il 20% è stata condotta mediante crescita per linee esterne, e quindi attraverso acquisizioni, fusioni o alleanze. Con riferimento alle mosse pianificate per il prossimo futuro (ne sono state mappate ben 111 in totale), sembra emergere un minor ricorso alla crescita esterna, anche se la quota si conferma elevata: la percentuale di mosse pianificate per il prossimo futuro che coinvolgono acquisizioni o alleanze scende al 13% .

I percorsi strategici

I percorsi strategici delle imprese possono essere analizzati e ricostruiti secondo una pluralità di ottiche complementari che pongo in evidenza:

  • l’intensità, o la velocità della crescita;
  • le direzioni della crescita (rimanendo nel business, internazionalizzando, diversificando,  internalizzando o esternalizzando, modificando il business model);
  • le modalità di crescita; crescita “dall’interno” sviluppando le proprie risorse tecniche e commerciali oppure crescita “per linee esterne” aggregando risorse e competenze di altre imprese mediante acquisizioni, fusioni o forme varie di alleanze strategiche;
  • le connesse dinamiche degli assetti proprietari; mantenendo l’assetto, oppure aprendo il capitale in forme varie quali gli scambi di partecipazioni, le joint venture, l’ingresso di fondi di private equity, la quotazione in borsa.


Concentrando l’attenzione sulle 51 imprese a controllo italiano, ossia escludendo le 9 multinazionali esaminate, sono emerse sei configurazioni di percorsi strategici:

  • percorso A: crescita progressiva per linee interne, rimanendo nel core business e senza variazione di assetto proprietario: 25 casi
  • percorso B: crescita rapida mediante acquisizioni, rimanendo nel core business e senza variazioni di assetto proprietario: 4 casi
  • percorso C: crescita rapida, mediante acquisizioni, rimanendo nel core business e aprendo l’assetto proprietario: 5 casi
  • percorso D: trasformazione del business model (prevalentemente per linee interne) a parità di assetto proprietario: 6 casi
  • percorso E: diversificazione correlata a parità di assetto proprietario: 8 casi
  • percorso F: diversificazione correlata con apertura dell’assetto proprietario: 3 casi


Trentaquattro aziende hanno optato per rimanere nel loro business. Di queste, 25 stanno perseguendo una strategia di progressivo miglioramento, tutte mantenendo lo stesso assetto proprietario. Altre 9, invece, pur rimanendo nello stesso business, hanno optato per strategie di rapida crescita, attuata soprattutto mediante acquisizioni. Quattro di queste 9 aziende hanno finanziato la crescita con autofinanziamento e con debito, senza aperture di capitale, mentre altre 5 hanno attuato (o hanno dichiarato di voler attuare) mosse di apertura del capitale mediante quotazione in borsa o mediante ingresso di fondi di private equity.

Le nostre aziende sono poco o nulla diversificate e continuano a rimanere tali; 34 su 51 sono rimaste nello stesso business; 11 hanno compiuto qualche mossa di diversificazione, ma sempre diversificazione correlata; 6 stanno attuando trasformazioni di business model e in qualche caso ciò comporta anche qualche grado addizionale di diversificazione.

La permanenza nel core business, tuttavia, non è sinonimo di staticità. Come visto, 9 delle 34 aziende del primo gruppo hanno attivato strategie di rapida crescita nel business; non sempre la strategia ha dato tutti i frutti sperati, ma tra queste 9 aziende stanno alcuni dei champion dell’imprenditoria italiana. Partendo da un solido nucleo di competenze, esse hanno attuato aggressive strategie di internazionalizzazione mediante acquisizioni. Spesso le aziende acquisite sono aziende con le quali si sono sperimentati lunghi periodi di partnership tecniche e commerciali. Qualche volta i punti di partenza e il successo sono stati tali da consentire il completo autofinanziamento (qui nel senso di non apertura del capitale proprio) della crescita; in altri casi si è passati attraverso la quotazione o il private equity.

Tutti gli 11 casi di diversificazione rientrano nella categoria della diversificazione correlata, talvolta strettamente correlata. Si tratta di aziende che hanno deciso di crescere sfruttando sinergie tecniche e commerciali. In 8 casi si procede a parità di assetto azionario, mentre in tre casi si hanno variazioni di assetto proprietario che però consistono solo nella costituzione di joint venture; nascono entità nuove a capitale misto, ma non si modificano le proprietà delle aziende partner. In 5 degli 11 casi di diversificazione sono molto rilevanti le operazioni di acquisizione.

Crescere si può

Per i capi azienda è chiaro che l’obiettivo della crescita dimensionale non è in alternativa rispetto a quello della crescita dei livelli qualitativi e prestazionali dei prodotti; crescenti livelli qualitativi e prestazionali dei prodotti, e i decrescenti livelli dei costi, sono solo condizioni di esistenza, non di crescita e sviluppo.
Crescere si può. Anche la nostra ricerca lo conferma e ci insegna che:

  • crescere rapidamente si può: sia rimanendo nel core business, sia diversificando ed eventualmente trasformando il business model;
  • crescere rapidamente si può: sia mantenendo costante la proprietà sia aprendola in una delle varie forme possibili;
  • per crescere rapidamente si deve percorrere la strada delle acquisizioni;
  • è opportuno che le acquisizioni siano lo sbocco di precedenti aggregazioni in forma di alleanze e di joint venture;
  • in altri termini, occorre essere molto attivi nell’uso contemporaneo di tutti gli strumenti di aggregazione interaziendale.

 

 Contatti

Per ulteriori informazioni è possibile contattare Valeria Negri (valeria.negri@assolombarda.it. tel. 0258370.408) dell'Area Centro Studi.

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