Previsioni Pil a confronto dopo i dazi del 2 aprile

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I dazi incidono sulle previsioni di crescita 2025 per il Pil mondiale (sotto il 3%) e dell’area euro (sotto l’1%); Italia inferiore alla media europea nel 2025 (tra +0,4% e +0,7%), con la Lombardia al +0,8% secondo nostre stime.

L’incertezza generata dai dazi, già implementati o solamente annunciati, ha raggiunto il suo culmine nei giorni successivi al Liberation Day del 2 aprile. La presente nota raccoglie e sintetizza le previsioni macroeconomiche pubblicate dai principali istituti successivamente a questa data. Le proiezioni per tutte le economie, avanzate ed emergenti, sono state riviste al ribasso, tanto che la stima per il Pil mondiale nel 2025 non supera il 3% e quella per l’area euro non va oltre l’1%, con le revisioni più forti che hanno riguardato Stati Uniti e Cina, i Paesi in primo piano nella guerra commerciale. Peggiora anche il quadro per l’Italia, prevista crescere tra +0,4% e +0,7% nel 2025 e tra +0,5% e +0,9% nel 2026, anno in cui, secondo la Commissione Europea, il nostro Paese sarà fanalino di coda dei 27 Stati membri dell’UE (insieme al Belgio). I principali rischi al rialzo per area euro e Italia arrivano dal piano ReArm Europe e dagli ingenti investimenti infrastrutturali annunciati dalla Germania. In questo contesto, le previsioni di Assolombarda per la Lombardia sono di una crescita leggermente superiore alla media italiana, per un +0,8% di Pil nel 2025.

Dopo i dazi, revisioni al ribasso per tutte le maggiori economie mondiali

I primi mesi del 2025 sono stati caratterizzati da un crescendo di incertezza legata a fattori geopolitici e politiche economiche, culminato il 2 aprile con il Liberation Day e l’annuncio dei dazi statunitensi, erga omnes e “reciproci”. Il forte impatto di questa decisione da parte del governo americano, sia appunto in termini di incertezza che di prospettive per il commercio globale, ha fatto rivedere al ribasso le previsioni di crescita economica da parte di tutti i principali istituti.

In questa nota raccogliamo le previsioni pubblicate dopo il 2 aprile, che incorporano, con metodi e assunzioni diverse, le nuove tariffe doganali. Vista la loro importanza, le ipotesi alla base delle previsioni, vengono brevemente riassunte in un box dedicato a fine documento.

Come anticipato, tutti i previsori considerati hanno rivisto al ribasso la crescita globale, tagliando in particolar modo le prospettive dell’economia statunitense, il cui Pil non è previsto andare oltre il +2% né nel 2025 né nel 2026. Il “downgrade” non ha risparmiato la Cina, per ora colpita più duramente degli altri Paesi dall’escalation tariffaria: secondo i previsori, l’economia cinese non raggiungerebbe in questi due anni l’obiettivo di crescita al 5%. Anche la crescita dell’area euro, per cui gli Stati Uniti rappresentano la prima destinazione dell’export, risulta indebolita: meno dell’1% nel 2025 e poco sopra nel 2026. Un aspetto da evidenziare è che per gli Stati Uniti la forbice delle previsioni rimane abbastanza ampia, soprattutto nel 2026 (dal +1,0% previsto da REF Ricerche al +1,7% dell’IMF), a indicare una certa difficoltà nell’interpretare le direzioni e gli impatti dei diversi fattori attivati dalle scelte della politica americana. Per le altre macroaree, invece, si rileva un consenso più omogeneo rispetto alle attese.

La crescita del Pil mondiale si attesterebbe così sotto al 3% sia nell’anno in corso (+2,6%/+2,9%) che nel prossimo (+2,4%/+3,0%), una riduzione significativa rispetto alle previsioni pubblicate nello scorso autunno (qui la nostra nota di sintesi).

Punti di debolezza e rischi al ribasso

Tutti gli scenari sono inevitabilmente dominati dall’impatto negativo dei dazi e la parola chiave ricorrente è “incertezza”. Oltre all’impatto scontato delle tariffe sugli scambi commerciali, che proprio sul finire del 2024 parevano in fase di ripresa, si sottolinea come l’incertezza danneggi la fiducia di consumatori e imprese. Quest’ultime, inoltre, sono colpite dalle ripercussioni sui mercati finanziari: da un lato, la volatilità rallenta e pospone le scelte di investimento, in un contesto in cui anche la propensione al rischio delle banche potrebbe contrarsi; dall’altro, una correzione dei mercati azionari, in realtà già verificatasi e già riassorbita (almeno negli Stati Uniti), può intaccare direttamente i bilanci delle imprese.

Tra gli altri rischi, derivanti da quello principale dei dazi, si evidenziano la possibile risalita dell’inflazione e i conseguenti rialzi nei tassi d’interesse (con ricadute sulla crescita e sulla sostenibilità dei debiti pubblici) e, per l’economia europea, la perdita di competitività dell’industria, se minacciata da un più largo afflusso di merci cinesi.

Punti di forza e rischi al rialzo

Specularmente ai rischi al ribasso, uno dei possibili rivolgimenti positivi della congiuntura sarebbe una de-escalation della guerra tariffaria, tramite accordi come quello raggiunto tra Stati Uniti e Cina il 12 maggio: le due superpotenze hanno abbassato le proprie tariffe dal 145% al 30% (sulle importazioni cinesi negli USA) e dal 125% al 10% (nella direzione opposta).1

Per l’economia europea, nello specifico, si potrebbero profilare accordi commerciali più aperti con altre aree economiche e la tendenza protezionistica degli Stati Uniti potrebbe portare a un’accelerazione nel processo di integrazione regionale dell’area euro. Un ulteriore effetto collaterale del Liberation Day è stata la riduzione nel costo dell'energia, specialmente del petrolio e del gas naturale in Europa (grazie alla minor domanda cinese), che potrà supportare la competitività dell'industria europea. Infine, il piano ReArm Europe e la decisione del governo tedesco di incrementare massicciamente gli investimenti in difesa e infrastrutture sono fattori che giocano al rialzo per le prospettive dell’economia europea, in particolare per la domanda del comparto industriale, probabilmente a partire da fine anno e con più vigore dal 2026.

Anche le previsioni per l’Italia subiscono l’effetto dazi e vengono ridimensionate, restando sotto la media dell’area euro. La crescita attesa per la Lombardia è leggermente superiore all’Italia

Le previsioni per l’economia del nostro Paese, anch’esse riviste al ribasso rispetto a pochi mesi fa, si collocano al di sotto della media europea e indicano una crescita molto debole nel biennio 2025-2026. Per l’anno in corso, si prospetta una variazione del Pil tra +0,4% e +0,7%; la “forbice” si amplia leggermente per il 2026, tra +0,5% e +0,9%, pur restando su livelli di crescita risicati. Nelle previsioni della Commissione Europea, l’evoluzione del Pil nel 2026 (+0,9%) vede l’Italia all’ultimo posto dei 27 Paesi membri, alla pari del Belgio.

Come per il resto dell’area euro, le proiezioni per l’economia italiana si sono ridimensionate a causa dell’inasprimento delle politiche commerciali: secondo le stime preliminari di Banca d’Italia, l’incremento delle tariffe statunitensi annunciato il 2 aprile avrebbe un impatto negativo sul Pil di oltre mezzo punto percentuale nel triennio 2025-2027.

L’impatto dei dazi si eserciterebbe principalmente con un contributo negativo o nullo delle esportazioni nette, mentre l’economia sarebbe sorretta dalla ripresa dei consumi e, parzialmente, dagli investimenti. Nel primo caso, le famiglie beneficeranno del recupero del reddito reale, sebbene questo risulti inferiore rispetto ad altri Paesi europei. Nel secondo, la riduzione dei tassi d’interesse e i segnali di fine 2024 spingono a una ripresa degli investimenti non residenziali, che però potrebbe risentire dell’incertezza generata dai dazi e della scarsa implementazione del piano di incentivi Transizione 5.0.

A livello settoriale, si conferma il traino da parte dei servizi, mentre l’industria, per la quale si intravedeva una timida ripresa, subirà maggiormente gli effetti dei dazi. Allo stesso tempo, tuttavia, alcuni comparti manifatturieri, come la meccatronica, potrebbero vedere un’inversione di tendenza con un aumento di domanda grazie ai piani di investimenti europei e tedeschi in difesa e infrastrutture.

Anche le previsioni del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, pubblicate ad aprile, si sono allineate al ribasso su un +0,6% nel 2025 e +0,7%/+0,8% nel 2026. Al contempo, va sottolineato come la stima preliminare del Pil italiano per il primo trimestre, rilasciata da Istat il 30 aprile, abbia sorpreso in positivo con una crescita di +0,3% sul trimestre precedente e di +0,6% sul primo trimestre del 2024.

In questo contesto, le previsioni di Assolombarda per la Lombardia sono di una crescita leggermente superiore alla media italiana, per un +0,8% di Pil nel 2025 (qui le nostre previsioni in dettaglio). La proiezione è stata rivista al ribasso rispetto a gennaio, più che per il dato nazionale, viste la situazione di estrema incertezza e la maggior esposizione internazionale del territorio. L’espansione lombarda beneficerà di una ripresa dei consumi, prevista superiore rispetto al resto d’Italia, e del sostegno dei servizi. Nelle nostre previsioni, Lodi (+1,5% il PIL nel 2025) e Milano (+1,0%) supereranno la media regionale, Monza Brianza (+0,8%) sarà in linea, Pavia al di sotto (+0,5%).

 

Box: Le ipotesi alla base delle previsioni post 2 aprile 2025

Banca d’Italia (4 aprile): lo scenario “include una prima e necessariamente parziale valutazione degli effetti dei dazi annunciati il 2 aprile dagli Stati Uniti”, senza considerare le ricadute degli annunci sui mercati internazionali e le possibili misure ritorsive da parte di altre economie.

REF Ricerche (4 aprile): ipotesi di dazi medi del 12% sulle importazioni statunitensi dall’UE e di un rialzo del cambio del dollaro.

IMF (22 aprile): ipotesi base che incorpora tutte le tariffe doganali annunciate tra il 1° febbraio e il 4 aprile.

Commissione Europea (19 maggio): ipotesi che incorpora i dazi applicati dagli Stati Uniti al 9 aprile, ovvero 10% sulle importazioni da tutti i Paesi di tutti i prodotti eccetto acciaio, alluminio e automotive (tariffe al 25%) e prodotti esentati dall’annuncio del 2 aprile (ad esempio, farmaceutici e semiconduttori).



1 Si tratta in ogni caso di un accordo temporaneo (di 90 giorni), che lascia le tariffe su livelli nettamente superiori agli anni precedenti.

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