Venti a favore e freni straordinari

Scenari economici Confindustria n. 23 – Giugno 2015.

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In sintesi

Al giro di boa di metà 2015 lo scenario globale si presenta ancora propizio per l’economia italiana, nonostante il marcato rallentamento nella domanda mondiale e l’incombente minaccia del fallimento greco.

Potenti venti favorevoli continuano, infatti, a soffiare. La svalutazione del cambio dell’euro, la forte riduzione del costo dell’energia, l’ulteriore diminuzione dei tassi di interesse e il rafforzamento della domanda interna nel resto dell’Eurozona (beneficiaria essa stessa dei medesimi fattori esterni) forniscono una forte spinta al PIL.

La propulsione è una tantum e non modifica la posizione competitiva del Paese. Ma i fattori che la compongono non faranno retromarcia tanto presto.

Il mercato del petrolio rimarrà con un ampio eccesso di offerta che limiterà il recupero del prezzo, se addirittura non lo riporterà verso i minimi osservati all’inizio del 2015. La pressione al rialzo sul dollaro continuerà a essere esercitata dalla superiore performance dell’economia USA e dalla prospettica divaricazione nei tassi di interesse. Gli acquisti di titoli da parte della BCE manterranno basso il costo del denaro nell’Eurozona, la cui crescita proseguirà ai ritmi correnti.

Tuttavia, nel contesto internazionale ci sono evoluzioni meno positive dell’atteso. Lo slancio delle maggiori economie è diminuito, frenando molto il commercio mondiale, mentre la questione greca genera onde destabilizzanti, con molteplici conseguenze difficili da calcolare (“acque inesplorate”, le ha chiamate Mario Draghi).

Il rallentamento globale che si è verificato all’inizio dell’anno ha essenzialmente natura temporanea. Nel primo trimestre le avversità meteorologiche, gli scioperi portuali e l’impatto del crollo delle quotazioni petrolifere sull’industria estrattiva hanno fermato la ripresa negli USA; nel secondo si sono già moltiplicati i segnali di riavvio, anche se non tambureggiante.

Contemporaneamente il crollo degli introiti dall’export di energetici e altre materie prime ha colpito la domanda interna di alcuni importanti paesi emergenti, con ripercussioni sugli scambi commerciali che verranno gradualmente riassorbite.

La battuta d’arresto si innesta, però, sulla tendenza di lungo periodo di minor dinamismo dell’economia mondiale che è dovuto a fattori demografici e tecnologici e alla diminuzione della crescita potenziale causata dalla crisi (via minori investimenti e depauperamento del capitale umano).

In aggiunta, alcuni grandi paesi emergenti sono entrati in una nuova fase di sviluppo, inevitabilmente meno tumultuosa. Questo non significa che sia in atto un’ideale staffetta, con il passaggio del testimone della crescita mondiale ai paesi avanzati: la quota degli emergenti sull’aumento del PIL globale rimarrà saldamente sopra il 70%.

Le proiezioni del CSC incorporano questi più deboli trend, per i quali il rischio rimane al ribasso. Non includono, invece, le conseguenze immediate (distinte, cioè, da quelle di lungo termine per l’Unione europea) di un esito negativo delle trattative sul rifinanziamento del debito pubblico greco; perché non sono quantificabili e perché si ritiene che possano essere prese opportune misure per arginarle; il contagio non può certo essere escluso e farebbe deragliare l’economia dell’Euro area.

Tassi, cambio e prezzo del petrolio bassi e riaccelerazione del commercio mondiale hanno un impatto potenziale complessivo sul PIL italiano che, secondo le stime CSC, è pari a 2,0 punti percentuali nel 2015 e ad altri 1,2 punti nel 2016.

Le nuove previsioni CSC sul PIL italiano di +0,8% nel 2015 e di +1,4% nel 2016, osservate dall’angolo visuale di tale impatto, appaiono prudenti e lasciano spazio a sorprese positive. Tuttavia, si possono indicare alcune ragioni che spiegano il divario tra effetti potenziali e andamenti attesi.

Anzitutto, alcuni dei fattori favorevoli (tassi e cambio) sono il risultato di “estremi rimedi a estremi mali”, ossia di azioni di politica monetaria adottate per contrastare pericolose involuzioni deflazionistiche nell’Euro area, particolarmente accentuate nei paesi periferici. In altre parole, sono forze positive che controbilanciano forze negative. Le prime risulteranno, alla fine, più potenti delle seconde e imprimeranno un moto in avanti, ma meno veloce di quello che si sarebbe normalmente avuto.

Il rischio di deflazione è decisamente meno elevato oggi rispetto a sei mesi fa, ma l’inflazione nell’Euro area rimarrà pericolosamente contenuta e lontana dall’obiettivo BCE. È probabile che quest’ultima dovrà intervenire con ulteriori dosi di acquisto di titoli.

In secondo luogo, la politica di bilancio rimane restrittiva, nonostante i margini di flessibilità conquistati. Ciò vale per l’Italia ma anche per altri paesi europei, con impulsi recessivi che si trasmettono dall’uno all’altro. L’austerity come strumento di rafforzamento delle economie si è dimostrata e continua a dimostrarsi fallimentare.

In terzo luogo, e forse più importante, l’Italia soffriva di lenta crescita prima della crisi, ma quest’ultima ha ulteriormente diminuito il potenziale del Paese. Perciò il sistema economico ha una minore reattività agli stimoli esterni. A maggior ragione visto che incontra ostacoli eccezionali, eretti dalla crisi stessa, che impediscono alla sua dinamica di prendere quota.

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