Il rebus della ripresa

Scenari economici Confindustria n. 22 – Dicembre 2014.

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In sintesi

 

Lo scenario economico globale si presenta migliore rispetto a tre mesi fa, anche se l’elevata incertezza continua ad essere il maggiore ostacolo a cogliere appieno le nuove opportunità. Cinque i fattori favorevoli emersi nello scenario internazionale nell’ultimo trimestre: il crollo del prezzo del petrolio, l’ulteriore svalutazione del cambio dell’euro, il rafforzamento della crescita del commercio mondiale, il calo dei tassi di interesse e una politica di bilancio più benefica per la crescita. In particolare, il costo del greggio è diminuito di oltre un terzo nell’arco di alcune settimane. Ciò comporta il trasferimento di oltre mille miliardi di euro di reddito annuale dai paesi produttori ai paesi consumatori. Per l’Italia è un guadagno di 14 miliardi annui.

Si profila dunque un biennio di graduale recupero per l’Italia, con un ritorno all’aumento del PIL l’anno prossimo, ribadito nel successivo: +0,5% nel 2015, dopo il -0,5% di quest’anno, e +1,1% nel 2016. Il testimone passerà gradualmente dalle esportazioni nette alla domanda interna. Le prime continueranno a dare un apporto positivo (+0,2 punti percentuali), benché minore che nel precedente triennio.
La seconda riprenderà ad aumentare dopo la pesante recessione, arrivando a un +1,0% nel 2016. Ciò rimetterà in moto anche le importazioni. In queste stime non sono inclusi gli effetti, indubbiamente favorevoli ma non quantificabili, del Jobs Act e di EXPO 2015. Ciò lascia spazio a ulteriori sorprese positive.

Nel prossimo futuro continueranno tuttavia ad operare notevoli freni, sebbene con vigore diverso rispetto al passato: una elevata disoccupazione, che deprime redditi e fiducia delle famiglie, l’estrema selettività del credito, l’ampia capacità produttiva inutilizzata, il mercato immobiliare in aggiustamento, la perdita di competitività accumulata a causa del forte aumento del CLUP, i profitti delle imprese schiacciati tra aumento dei costi e calo del fatturato, la riduzione della leva del debito.

Il freno maggiore è determinato dai timori sulle prospettive della domanda e del reddito, tanto a livello italiano quanto internazionale. Occorre dunque una chiara azione di politica economica che aiuti a superare le gravi difficoltà. Da questo punto di vista, il piano Juncker appare non adeguato per la limitatezza delle risorse e per il modo in cui è congegnato. Esistono inoltre alcune perplessità riguardo al rispetto delle regole europee, che mettono parzialmente in discussione il perseguimento delle attuali politiche di austerity. In particolare, le metodologie statistiche di calcolo dei saldi di bilancio strutturali sono molto controverse, tanto che due istituzioni internazionali del calibro di OCSE e FMI forniscono per l’Italia stime che sono molto diverse da quelle della Commissione europea e che non indicano la necessità di alcun ulteriore intervento correttivo.

Occorrono infine interventi specifici a livello Paese, in tema di legalità e trasparenza di mercato. Per riportare in modo strutturale l’Italia a ritmi di sviluppo ben più elevati degli attuali è cruciale diminuire drasticamente la corruzione, una “zavorra” che scoraggia gli investimenti privati (specie quelli esteri), riduce l’efficienza della spesa pubblica, abbassa la qualità del capitale umano e delle istituzioni. Al tema è dedicato uno speciale approfondimento.

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