Il lavoro nelle imprese dell'Area Milanese (Milano, Monza e Brianza e Lodi) - Anno 2014

Sintesi dei risultati.

1.1 Le condizioni dell'offerta di lavoro da parte dei lavoratori

1.1.1 Il quadro del mercato del lavoro: il problema è la disoccupazione

1.1.2 Una generazione in difficoltà

1.2 Le caratteristiche della domanda di lavoro dalle imprese

1.2.1 Ma gli scossoni della crisi non scalfiscono le qualità strutturali della forza lavoro milanese

1.2.2 2014, direzioni del personale "in apnea" in attesa delle novità del 2015

1.2.3 Non manca l'investimento nei giovani

1.2.4 Diminuisce il tempo non lavorato ma torna a crescere il gender gap

1.2.5 Rallenta il ricorso alla cassa integrazione

1.2.6 Nell'Area Milanese salari e stipendi aumentano in termini reali ...

1.2.7 ... mentre la diffusione dei premi variabili registra una battuta d'arresto.

 

1.1 Le condizioni dell'offerta di lavoro da parte dei lavoratori


1.1.1 Il quadro del mercato del lavoro: il problema è la disoccupazione

I dati sulle Forze di Lavoro, elaborati da Istat ed Eurostat sulla base di indagini campionarie svolte dal lato della domanda (le famiglie) presentano sicuramente alcuni limiti, ma hanno anche un indubbio pregio: consentono una perfetta confrontabilità tra vari ambiti geografici, nazionali ed internazionali.Essi dimostrano chiaramente che Lombardia e Milano, pur presentando caratteristiche migliori della media nazionale, certo non spiccano tra i best performer nel confronto europeo. Se guardiamo al 2014, sia come tasso di attività che come tasso di occupazione la Lombardia risulta di oltre 10 punti sotto i livelli delle regioni tedesche.Stesso discorso per la disoccupazione: la situazione di Milano (8,4% di persone in cerca di lavoro) e della Lombardia (8,2%) è molto migliore di quella dell’Italia (12,7%), ma nel confronto tra i motori d’Europa la Lombardia è peggiore solo alla Cataluña (20,3%).

Ampliando lo sguardo alla dinamica si vede come, a fronte di un’occupazione sostanzialmente stabile, sia stato il tasso di disoccupazione a crescere, arrivando al 12,7% dal 12,2% del 2013.

Come è possibile che la percentuale di occupati rimanga stabile e allo stesso tempo aumenti quella di disoccupati? Il fenomeno non può essere compreso se non si parte dalla definizione di disoccupato e non si entra più nel dettaglio del calcolo dei tassi. Innanzitutto è disoccupato chi dichiara - in occasione della rilevazione dell’Istat - di non essere occupato e di essere attivamente alla ricerca di un posto di lavoro: chi non è occupato ma non cerca lavoro è inattivo. Se questo individuo decide di mettersi alla ricerca di un lavoro (ad esempio perché spinto da esigenze di reddito) passa dalla condizione di inattivo a quello di disoccupato: il tasso di occupazione non cambia (nessuno ha perso il posto di lavoro) mentre aumentano sia il tasso di disoccupazione (la percentuale di chi cerca lavoro sul totale della popolazione attiva) sia il tasso di attività (la quota di popolazione attiva sul totale della popolazione).

E’ esattamente questo che è successo in Lombardia nel periodo della crisi. Se si guarda al numero degli individui, anziché ai tassi, è evidente come nella nostra regione il numero di disoccupati sia più che raddoppiato - dai 149 mila del 2007 ai 378mila del 2014 - mentre nello stesso arco temporale il numero di occupati è rimasto praticamente identico a quota 4,237 milioni.

A questo va aggiunto il ricorso alla Cassa Integrazione. Questo ammortizzatore sociale - ampiamente utilizzato nel nostro Paese durante la crisi - sfugge alle statistiche sull’occupazione (i cassaintegrati sono persone a tutti gli effetti occupate), ma nello stesso tempo riduce il monteore lavorativo potenziale. Se queste ore vengono trasformate in unità di lavoro equivalenti - cioè lavoratori virtuali - è più chiaro che la Cassa Integrazione in realtà “nasconde” una quota di forza lavoro che in realtà è non è occupata.


1.1.2 Una generazione in difficoltà

In questa già complessa situazione, considerazioni a parte merita il problema occupazionale dei giovani, ovvero gli individui nella fascia di età dai 15 ai 24 anni. Si tratta indiscutibilmente della parte di popolazione più colpita. Infatti, il tasso di disoccupazione giovanile - che in Italia è oltre il 40% - in Lombardia ha superato il 30% della popolazione attiva, mentre nelle regioni tedesche non va oltre il 5%.

Un altro aspetto strettamente connesso a questo quadro preoccupante è il fenomeno Neet (Not in Education, Employment or Training), ovvero quei giovani che - una volta terminati gli studi - restano ai margini del mondo del lavoro. I numeri del fenomeno durante la crisi hanno raggiunto dimensioni rilevanti anche in Lombardia (16,1% sull’intera popolazione 15-24 anni).

Ma sono in particolare i NEET “non attivi” che rappresentano l’aspetto più critico del problema: ovvero quei giovani che non studiano, non lavorano e - forse scoraggiati - un lavoro nemmeno lo cercano: perfino in un contesto dinamico come quello milanese, i NEET “non attivi” hanno raggiunto un peso (7,9%) pari a circa la metà del totale dei NEET (15,6% sul totale popolazione 15-24 anni).


1.2 Le caratteristiche della domanda di lavoro dalle imprese


1.2.1 Ma gli scossoni della crisi non scalfiscono le qualità strutturali della forza lavoro milanese

L’indagine tra le nostre imprese permette di approfondire i caratteri distintivi di un “capitale umano” che contribuisce a rendere quest’aree una delle più più ricche d’Europa.

In primo luogo la crescente presenza di personale high skilled, naturale riflesso di una quota di lavoratori laureati che sfiora il 40% degli addetti alle dipendenze.

L’indagine tra le nostre imprese permette di approfondire i caratteri distintivi di un “capitale umano” che contribuisce a rendere quest’aree una delle più più ricche d’Europa.In primo luogo la crescente presenza di personale high skilled, naturale riflesso di una quota di lavoratori laureati che sfiora il 40% degli addetti alle dipendenze.

Un secondo elemento di qualità, che si conferma ad ogni edizione dell’indagine, è l’ampia partecipazione e qualificata femminile al mercato del lavoro: nell’Area Milanese un addetto su tre è donna. Non è superfluo ricordare che a Milano il tasso di attività delle donne in età lavorativa ha superato quel 60% che era l’obiettivo (rimasto per l’Italia purtroppo solo sulla carta) di Lisbona 2010.

La partecipazione al mercato del lavoro da parte del collettivo femminile è certamente assecondata dalla diffusa opportunità di occupazione part-time, uno strumento di flessibilità organizzativa che è presente in ben l’80% delle imprese milanesi e che consente la conciliazione tra impegni famigliari e occupazione.

Quanto a pari opportunità, a Milano per le donne quantità fa rima con qualità. Senza alcun bisogno di norme e regolamenti ad hoc, qui le «quote rosa» si sono fatte largo tra le figure direttive (quadri e dirigenti), e il loro inserimento avviene sempre più spesso in posizioni funzionali apicali: la quota femminile di dirigenti (18%) e quadri (30%) è in continua crescita.


1.2.2 2014, direzioni del personale "in apnea" in attesa delle novità del 2015

Dai dati macroeconomici emerge una situazione occupazionale italiana bloccata nel 2014, con maggiori criticità nella fascia giovanile. I risultati dell’indagine non si discostano molto da questo quadro, mostrando un mercato del lavoro che durante l’anno ha “trattenuto il fiato” in attesa delle novità che il 2015 ha portato con sé (gli sgravi contributivi finanziati dal 1 gennaio 2015 e il contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act a marzo).

Prima di tutto la composizione per contratto dei flussi in entrata ha visto ridursi la quota di contratti a tempo indeterminato, a favore di quelli a termine (mentre nel 2013 i flussi in entrata erano equamente distribuiti).

Alla diversa composizione per contratto delle assunzioni, si aggiunge anche la riduzione del tasso di conversione delle forme contrattuali a termine, sceso al 32,3% dal 42,2% del 2013, e un turnover occupazionale negativo. Come hanno ampiamente dimostrato recentemente i dati sulle Comunicazioni Obbligatorie nel I trimestre 2015 fornite dal Ministero del Lavoro, il fenomeno va ricondotto all’aspettativa per gli sgravi contributivi e per l’introduzione del nuovo contratto a tutele crescenti sulle nuove assunzioni che sono effettivamente entrati in vigore dall’inizio del 2015.

Di particolare interesse si annuncia quindi la prossima indagine, che consentirà di esaminare le strategie di gestione del personale delle imprese nell’intero biennio 2014-2015.


1.2.3 Non manca l'investimento nei giovani

Nel 2014 non è mancato l’investimento delle imprese milanesi sui giovani: l’11% delle assunzioni nel 2014 è avvenuto attraverso l’apprendistato, una quota ben maggiore rispetto all’1,5% registrata non più tardi di quattro anni fa (2010).

Non si può quindi negare che questo contratto ha dimostrato un’importanza crescente come canale di accesso dei giovani al mercato del lavoro. Secondo i dati delle COB (Comunicazioni Obbligatorie), in particolare, gli avviamenti di apprendistato nel 2014 hanno registrato una “fiammata” a partire dal secondo trimestre 2014, alimentata dal Decreto Poletti. Un incremento che si è poi dimostrato transitorio, alla luce dell’andamento decrescente degli ultimi mesi dell’anno che non ha annullato tutti i progressi ma certo li ha notevolmente ridotti.


1.2.4 Diminuisce il tempo non lavorato ma torna a crescere il gender gap

Il tasso di assenza misura le ore di assenza rispetto al totale di quelle lavorabili (ovvero potenzialmente disponibili in un anno al netto di festività, ferie ed eventuale CIG): a livello di Area Milanese l’indice risulta in diminuzione per il secondo anno consecutivo, scendendo al 5,9% dal 6,1% del 2013 e dal 6,7% del 2012.

Il comparto manifatturiero appare in lieve controtendenza: dal 5,7% del 2013 si sale al 5,9% del 2014. In realtà nel settore si è assistito a un progressivo, pur con qualche fase di assestamento, riassorbimento del fenomeno dal picco del 2009 (7%).

Nel 2014 si è ampliato il divario tra uomini (4,2%) e donne (9,6%) che negli ultimi anni si era progressivamente ridotto fino ai meno di quattro punti percentuali registrati nel 2013 (4,8% vs. 8,7%). Le differenze per genere sono molto accentuate per la presenza di una causale di assenza - i congedi per maternità - di quasi totale pertinenza femminile. Tra gli uomini si registra una maggior incidenza dell’assenza per malattia non professionale.


1.2.5 Rallenta il ricorso alla cassa integrazione

Stando ai dati di natura amministrativa forniti dall’Inps, nel 2014 le ore autorizzate per le imprese dell’Area Milanese sono aumentate di quasi l’8% rispetto al 2013: un dato in controtendenza rispetto al -1,5% registrato a livello regionale.

L’indagine Assolombarda ha raccolto informazioni di maggior dettaglio relative alle ore di cassa integrazione effettivamente utilizzate. Tale indicatore evidenzia una forte riduzione del fenomeno: il dato - ricondotto in termini pro-capite sulla base del numero di addetti - passa dalle 41 ore nel 2013 alle 24 del 2014. Il processo di riassorbimento dei cassaintegrati, che i dati amministrativi mostrano in tutta la sua evidenza solo a partire dai primi mesi del 2015 (-36% nei primi 5 mesi del 2015), è evidentemente iniziato già nel corso del 2014.


1.2.6 Nell'Area Milanese salari e stipendi aumentano in termini reali ...

La retribuzione globale annua a dicembre 2014 è risultata - per l’addetto medio - di poco superiore ai 41mila euro. Tale importo sintetizza quelli per qualifica: 61mila euro per i quadri, 39mila per gli impiegati e 28mila per gli operai.

Nel corso del 2014 le retribuzioni di fatto nelle imprese milanesi sono cresciute in media del 2%: una dinamica retributiva che ha superato quella dei prezzi. Un risultato non sorprendente in un periodo di deflazione per l’intero continente europeo e la presenza di automatismi contrattuali che hanno programmato tranches del CCNL basate su previsioni d’inflazione disattese. Dal 2006 l’aumento in termini reali di salari e stipendi dei dipendenti a tempo pieno e indeterminato ha raggiunto il 7%, nelle aziende milanesi che applicano i principali CCNL manifatturieri e, in questi ultimi anni di domanda stagnante e forte rallentamento dei prezzi, il gap si sta ampliando più rapidamente.


1.2.7 ... mentre la diffusione dei premi variabili registra una battuta d'arresto.

La componente variabile della retribuzione rappresenta un’efficace leva di stimolo della produttività, e per questo costituisce un importante strumento di politica retributiva a disposizione delle imprese.

Nel 2014 l’incidenza dei premi variabili ha raggiunto, tra i lavoratori che ne hanno effettivamente beneficiato - il 5,6%. Nel manifatturiero il dato è lievemente inferiore (5,2%), ma di tutto rilievo se si considera che solo nel 2006 raggiungeva a malapena il 3%:

Se si conferma la costante crescita dell’incidenza delle somme erogate in forma variabile sul totale, nel 2014 è diminuita la percentuale di aziende che hanno utilizzato tale strumento di politica retributiva: dal 67% del 2013 la quota è scesa al 55%.

Un’evidenza che non sottintende cambiamenti strategici da parte dei responsabili della compensation, innanzitutto perché l’erogazione è legata al raggiungimento di obiettivi di performance che il difficile scenario economico potrebbe aver precluso. In secondo luogo non va dimenticato che esiste uno sfasamento temporale tra l’anno di raggiungimento dell’obiettivo e quello di erogazione del premio: quindi la mancata erogazione di premi variabili nel 2014 potrebbe essere un trascinamento di insufficienti performance registrate nel 2013.

Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica
[Thomas Edison]
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Assolombarda